giovedì 12 marzo 2015

I Distruttori di Musei, dal Futurismo allo Stato Islamico

“Il museo trasforma l'opera in oggetto.” André Malraux, La metamorfosi degli dèi, 1957
“Sono stato alla Pinacoteca di Brera, oggi; la cosa che mi è piaciuta di più è stata la ragazza di uno.” Giovanni Soriano, Finché c'è vita non c'è speranza, 2010 

Il “museo” è spesso obiettivo dei movimenti rivoluzionari (in senso esteso, quelli che vogliono modificare lo status quo) nel tentativo di distruggere un passato visto come opprimente, errato, fuorviante (a seconda dei casi e delle ideologie):

“Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d'ogni specie” (punto 10 del Manifesto del Futurismo)



Fortunatamente i Futuristi non misero in atto questa loro affermazione programmatica mentre la cronaca di queste settimane ci ha mostrato le distruzioni continue operate dal sedicente Stato Islamico in numerosi musei.
E' un'operazione non nuova spinta dalla volontà di imporre un diverso presente senza dover fare i conti con il passato, cosa impossibile se non appunto cancellandolo in maniera violenta.



A livello più profondo e in qualche modo involontario però la cancellazione del passato (come valore) avviene anche attraverso una certa concezione del museo come mausoleo in cui la cultura antecedente è mummificata, congelata, resa inerte e non più feconda.

Se l'evoluzione della società e della cultura non può prescindere dal passato questo però deve essere rivitalizzato nella contemporaneità e non relegato ad un ruolo di fissità distante.
Il fiume del tempo deve continuare a scorrere senza interruzioni per continuare a generare novità di rilievo globale: in questa metafora le distruzioni sono come dei rami morti che si inaridiscono e alcuni musei come delle anse di acqua stagnante.

In questo senso, l'arte di Rabarama (tra gli altri) si colloca in questo ambito di continuità e di reinterpretazione vitale dell'arte e della cultura del passato, con il suo esplicito riferimento alla scultura antica e classica (come racconta l'Artista: “Io sono nata a Roma, per cui ho sempre respirato e vissuto la grande classicità scultorea. (…) resto sempre affascinata dalla purezza delle linee della scultura greca, siccome dalle opere del Canova, o dalle antiche sculture egizie, o del Messico e dalla scultura primitiva") e con l'utilizzo di simbologie tradizionali e la reinterpretazione di tutto questo secondo le coordinate mutevoli della contemporaneità: in primis il ruolo dell'uomo nell'indagare su se stesso dopo la caduta dei tradizionali sistemi di valori e interpretazione della realtà e di fronte alle accelerazioni legate alla genetica, alla bionica, ai mutamenti sociali determinati dalla società del consumo.

Ed è per questo che la sua dimensione è più quella dell'arte pubblica che di quella museale, prova ne è l'enorme successo delle sue esposizioni pubbliche nelle città del mondo:
“credo che ogni opera d'arte dovrebbe creare un momento di stupore all'interno di un percorso quotidiano.
Si dovrebbe instaurare quel giusto connubio/sinergia che permette all'opera di incuriosire il fruitore casuale instaurando un dialogo, per ri-trovare un momento di "riflessione" in un'era in cui la velocità sta divorando l'umanità.
E' per questo motivo che prediligo esporre le mie sculture in luoghi pubblici... In tal modo l'incontro-scontro con l'arte diverrà parte integrante del nostro quotidiano e non più relegato nei soliti ambienti “consacrati” che sempre meno persone hanno il tempo e la possibilità di visitare.” (Rabarama)

Rabarama

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